Pineto è un comune italiano di 14 904 abitanti della provincia di Teramo in Abruzzo. Apprezzata stazione balneare del Medio Adriatico, si è ripetutamente fregiata, dal 2006, della Bandiera Blu d’Europa.
La città si estende sulle rive del Medio Adriatico, a 18 km circa a nord di Pescara, a 40 km a sud-est di Teramo, capoluogo della propria provincia di appartenenza, e a 200 km da Roma. Confina a nord con il comune di Roseto degli Abruzzi, a sud con il comune di Silvi e a ovest con quello di Atri. Il territorio comunale comprende, oltre al capoluogo, numerose località e frazioni fra cui rivestono particolare importanza Scerne, stazione balneare sul litorale Adriatico, situata 5 km più a nord, e Mutignano, borgo storico sorto in età medievale nell’interno, a 321 m.s.l.m. e a 6 km da Pineto.
Il clima di Pineto è di tipo temperato caldo con inverni relativamente miti ed estati contraddistinte da temperature elevate, ma non torride. La temperatura media annua è di 16,5 °C, con una media di 8,5 °C nel mese più freddo, gennaio, e di 25,5 °C nei mesi più caldi, luglio e agosto. Le precipitazioni medie annuali sono pari a 785 mm.
Pineto deve il suo nome alla rigogliosa pineta a ridosso del mare fatta piantare agli inizi del Novecento dalla famiglia Filiani di Atri su suolo demaniale ottenuto in concessione. Tale illustre famiglia atriana possedeva nella località, all’epoca quasi spopolata, una villa, e per tale ragione il paraggio era conosciuto come Villa Filiani. Fino a tutti gli anni venti appartenne, sotto tale denominazione, prima al Comune di Atri, poi a quello di Mutignano. Nell’immediato primo dopoguerra si sviluppò notevolmente, tanto da divenire, con delibera podestarile del 30 maggio 1930, capoluogo del Municipio di appartenenza mutando il proprio nome in Pineto. Nel 1934 il comune di Pineto incorporò un ampio territorio appartenente alla limitrofa Atri e comprendente le località di Calvano e Scerne.
Incantevole città d’arte a ridosso della costa teramana, Atri ha origini antichissime (VII-V secolo a. C.). Fu un’importante colonia in epoca romana, subì invasioni barbariche e dominazioni straniere durante il Medioevo, per poi “rinascere” definitivamente sotto il controllo dei signori d’Acquaviva.
Ed è nel centro della cittadina che il fascino di questa lunga storia continua a rivelare ancora oggi la sua forza evocativa. Monumenti e palazzi storici, chiese, musei, scorci suggestivi, sono questi i tanti tasselli dello splendido mosaico che Atri offre ai suoi numerosi visitatori.
Sicuramente da visitare la Cattedrale di Santa Maria Assunta risalente al 1285 e recentemente restaurata. Il museo annesso,che conserva preziose reliquie, tra cui maioliche dipinte, croci e pastorali d’avorio e d’argento, codici miniati, statue e centinaia di frammenti e mosaici delle costruzioni più antiche. Il Palazzo vescovile ed il Seminario appartenenti al tardo Cinquecento. Il Magnifico teatro comunale perfettamente conservato, l’ottocentesco Teatro comunale. Il Teatro, detto anche la “bomboniera” per le sue dimensioni (300 posti) e l’invidiabile acustica, ricalca all’esterno il Teatro della “Scala” di Milano, mentre l’interno sembra rifarsi al “S. Carlo” di Napoli, nei suoi tre ordini di palchi e loggione.
Maestoso è inoltre il Palazzo Ducale degli Acquaviva, attuale sede del comune. E’ una sorta di fortezza tutta in pietra, edificata nella prima metà del Trecento e rimaneggiata nel ‘700. La facciata nasconde un cortile rinascimentale circondato da un loggiato con iscrizioni e resti romani.
Tra arte e natura, il paesaggio delle colline atriane affascina per la spettacolare presenza dei Calanchi, vere e proprie “sculture naturali” nate dalla millenaria erosione del terreno argilloso. Il panorama assume toni e colori da “bolgia” dantesca, lo scenario si fa severo, quasi “lunare”, sovrastato dall’imponente architettura disegnata da queste formazioni geologiche.
Castelli sorge ai piedi del Gran Sasso a 500 m. s.l.m., in posizione apicale alla vallata del Vomano, è uno dei paesi più antichi e dell’Appennino teramano. Nel periodo romano il paese con tutto il territorio entrò a far parte dell’ager atrianus, in sostanza alle dipendenze di Atri, che in Abruzzo era la città più fedele a Roma. Alla caduta dell’Impero romano d’occidente, come tutte le popolazioni italiane più esposte ai saccheggi e alle invasioni, anche le popolazioni abruzzesi si rifugiarono sulle montagne.
Nel corso del medioevo il paese è politicamente registrato all’interno della contea della famiglia dei de Pagliara. Nel 1340 Castelli, la contea di Pagliara e la Valle Siciliana passarono alle dipendenze della famiglia romana degli Orsini a causa del matrimonio contratto tra la figlia del conte Gualtieri e il barone Napoleone Orsini. Un dominio feudale politicamente contrastato per i riflessi, che le guerre tra Francia e Spagna per la supremazia in Italia, ebbero in Abruzzo e più in generale nel Regno di Napoli.
In pochi anni la vallata passò, prima, nelle mani del Conte Francesco Riccardi di Ortona, più vicino al re Ladislao, poi in quelle di Antonello Petrucci dei Conti di Aversa per tornare, poi, col titolo di baronia, nel 1500, nuovamente sotto gli Orsini nella persona Camillo Pardo.
Nel 1524 , dopo la definitiva sconfitta francese, gli Orsini perdettero la baronia che andò al duca di Sessa.Nel 1526, Carlo V, oramia riconosciuto l’incontrastato imperatore del sacro romano Impero, dopo averla elevata al rango di marchesato, la concesse, come ricompensa ai servizi resi nella battaglia di Pavia, al generale Ferrante Alarçon y Mendoza e ai suoi eredi. Castelli così entrò a far parte del marchesato della Valle Siciliana e vi restò fino all’eversione della feudalità.
Sotto gli spagnoli castelli si aprì al commercio italiano ed europeo.
Ultimo baluardo dell’impero borbonico, prima dell’unità D’Italia, la Fortezza di Civitella del Tronto si erge maestosa sopra il promontorio delle città da cui prende il nome. E’ una delle più grandi e importanti opere di ingegneria militare d’Europa caratterizzata da una forma ellittica con un’estensione di 25.000 mq ed una lunghezza di oltre 500 m… La rocca aragonese, sorta su una probabile preesistenza medievale, fu completamente trasformata a partire dal 1564 da Filippo II d’Asburgo – re di Spagna, ordinò la costruzione della Fortezza, una struttura più sicura così come la vediamo oggi. Nel 1734, dalla dominazione degli Asburgo si passò a quella dei Borboni che operarono importanti modifiche alla struttura militare e si opposero valorosamente all’assedio dei francesi nel 1806 e a quello dei piemontesi del 1860/61.
Inserita nel Club dei Cento Borghi più belli d’Italia, è senz’altro la regina della Valle del Sagittario, di cui custodisce a Sud l’entrata.
Paesaggio, arte, artigianato, folclore la rendono uno dei paesi montani più visitati in Abruzzo. Scanno è visitata per il suo ambiente, per il suo lago, le sue chiese, i suoi palazzi, le sue strade medioevali e per l’abbigliamento delle sue donne.
Scanno appare al visitatore, appollaiata su uno sperone montuoso, appena lasciato il Lago. La strada dopo due chilometri porta in Piazza Santa Maria della Valle, con la chiesa omonima, dalla bella facciata rinascimentale e con all’interno preziose opere d’arte.
Acque limpide, arenili ampi arricchiti da numerosi e comodi chalet, un’offerta turistica ormai rinomata per l’accoglienza e la qualità dei servizi offerti.
Tutto questo è Silvi, località balneare della costa teramana ai piedi delle colline di Atri e Città Sant’Angelo.
Il paese nasce in epoca romana con i primi insediamenti abitativi, soprattutto costieri, legati all’antichissimo Municipium di Atri. Nei secoli successivi, vicessiutidini politiche e sociali determinarono la migrazione della popolazione verso l’aera collinare, dove fu fondato il borgo medievale di Castrum Silvi, l’attuale Silvi Paese.
Sostenuto da mura ad arco a tutto sesto, il paese ha mantenuto in gran parte il suo assetto urbanistico originario, con un’unica strada centrale dalla quale si sviluppa la fitta rete di viuzze che compone il tessuto cittadino. Sulla piazza principale si affaccia l’antica parrocchiale di San Salvatore, risalente all’XI sec. Degno di nota un affresco trecentesco al suo interno.
Percorrendo le incantevoli vie interne del paese ci si imbatte nel grazioso e curato belvedere. Da qui si apre un panorama incantevole che si estende dal Monte Conero (Marche) alle Isole Tremiti (Puglia).
Per gli amanti dei sapori e del folklore abruzzese, imperdibile la manifestazione estiva “Arti e Mestieri”.
Un vero e proprio viaggio nel tempo che, ogni anno nel mese di luglio, consente di scoprire ed apprezzare le più antiche espressioni della tradizione abruzzese, dall’enogastronomia all’artigianato locale, dal costume agli aspetti più profondi della “cultura materiale”.
Una tradizione nata nel XVI secolo, legata alle terribili vicende dei predoni turchi, è quella del “Ciancialone”. Si festeggia l’ultima domenica di maggio nella frazione Silvi Paese (o chiamata anche Belvedere di Silvi) e impegna tutto il paese.
Dopo aver fatto incetta di canne, il giorno della festa i giovani le trascinano fino alla piazza, davanti alla chiesa di S. Salvatore trasportandole sia a spalla che trainando, tra i molti incitamenti da parte dei presenti ai lati della strada. Giunti in piazza comincia il rituale che consiste nell’assemblare le canne fino a formare un lungo tubo che può arrivare anche a 10 metri di lunghezza e deve essere bilanciato con funi contrapposte, perché ogni sbandamento può essere fatale anche per l’incolumità degli operatori. Una volta issato e ancorato, un giovane sale in cima e dà fuoco. E attorno a questa pira fiammante, la folla baldanzosa si scatena cantando e ballando, fino a quando il falò detto lu ciancialone non si è completamente spento.
Un rito, questo, che affonda le sue radici nel XIV secolo. Una leggenda narra che all’epoca i Turchi sbarcarono nel porticciolo del Cerrano (l’antico porto di Atri e Silvi) e, dopo avere saccheggiato tutto quello che di utile c’era, si diressero verso la città Silvi. Mentre la popolazione si preparava a difendersi, si narra di un giovane, di nome Leone scese, che scese dalla collina con una fiaccola in mano e li affrontò. Più correva e più la fiaccola emanava una luce sempre più intensa ed incandescente, tanto che gli invasori credettero che un intero esercito fosse lì ad aspettarli. Per paura di perdere il bottino già conquistato, si ritirarono. Perciò una volta scongiurato il pericolo tutta la città festeggiò il coraggio del giovane Leone, proclamandolo eroe cittadino.
Ma, oltre ad essere simbolo della cacciata dei Turchi e oltre ad evocare il coraggio del leggendario Leone, lu ciancialone è anche un fuoco solstiziale e propiziatorio che si lega ai riti di purificazione praticati nelle campagne e davanti alle chiese per ballarvi intorno. Un rituale, quello praticato dai contadini, che basandosi sull’identificazione del sole con Dio, mirava a celebrare i ritmi vitali della natura in stretto contatto con i mutamenti della potenza solare, e a pregare Dio che proteggesse la raccolta, la semina e le attività agrarie.